L’osservatorio sulle comunicazioni reso pubblico periodicamente dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni -il n.2/2024- è un diluvio di mezza estate.
Se si scorrono i dati e le tabelle (comunicazioni elettroniche, media e piattaforme, servizi postali, prezzi dei servizi di comunicazione) si sobbalza sulla sedia.
Se lo sviluppo della banda larga e ultralarga procede veloce ma non troppo, se i servizi postali mantengono con successo le posizioni, se sono evidenti i processi evolutivi delle piattaforme che pure risentono del post lockdown, fulmini e tuoni arrivano dall’andamento della televisione e dei giornali.

Sbalorditiva è, ad esempio, la curva discendente di Rai News 24, che dal 2020 al 2024 cala del 72,5% e rispetto al 2023 del 23,8%. Del resto, un canale che trasmette in diretta i comizi della Presidente del consiglio (oggi Giorgia Meloni, ma il discorso vale per chiunque) e preferisce un non aratissimo festival di Pomezia alle elezioni francesi ha perso da tempo il suo senso mediale. Si rivolterà nella tomba il compianto Roberto Morrione, che ispirò un progetto alla cui fattura lavorarono diversi colleghi come Michele Mezza. Voleva essere non una mera aggiunta al pacchetto delle proposte aziendali, bensì il tentativo di rompere le liturgie del palinsesto e di fare entrare le notizie in un vasto circuito crossmediale. Ma l’ingegnosa rivoluzione si è trasformata via via e ora è al capolinea. Non deperisce solo un momento di inusuale creatività (ci rimane l’intuizione di RaiPlay), bensì la premessa per un ripensamento generale di un modello stantio figlio di un’età lontana.

Oltre a Rai News 24, si stagliano le cifre terribili dei telegiornali della fascia serale: il Tg1 tra il ’20 e il’24 perde il 24,1%; il Tg2 ben il 51%%; ilTg3 il 22,9% e il Tg regionale il 25,1%.

Se Atene piange, Sparta non ride: Mediaset scende non poco, fino al 48,5%di Studio Aperto (-33,4% il Tg4, -21,6% il Tg5). Gioisce La7 con un +20% e si riscalda la Nove.

La diagnosi è sempre la stessa: nell’epoca dei diversi device utili alla fruizione e al cospetto delle generazioni digitali, il marmoreo apparato tradizionale perde e perderà di più ancora, se non si ri-formano modelli e assetti produttivi.
La Rai filo-governativa e Mediaset attenta agli equilibri politici con la presenza incombente del conflitto di interessi rappresentano il viale del tramonto della vecchia televisione generalista impiantata inesorabilmente nelle culture analogiche e nella conveniente simbiosi con il sistema politico.

Per rompere tale inerzia servono idee coraggiose e non aiutano i corsi e ricorsi inutili (e impraticabili) dello spettro della privatizzazione.
Tuttavia, è l’analisi sull’andamento dei giornali quotidiani che dà un colpo al cuore.
Tra il 2020 e i 2024 le vendite giornaliere sono scese da 1,94 milioni a 1,32. Se contiamo il solo settore cartaceo arriviamo a 1,13 ml. La sorpresa ulteriormente negativa viene dall’esiguità della crescita del gemello digitale: 190.000 copie vendute. Altro che boom, come una saggistica un po’ improvvisata aveva immaginato.

In verità, non possiamo dimenticarci che l’Italia è la maglia nera in Europa quanto a formazione digitale.
Insomma, le previsioni degli studi commissionati dai principali quotidiani dell’occidente, vale a dire il rovesciamento delle priorità tra edizione a stampa e versione online (il New York Times ha dieci milioni di abbonamenti sulla rete e il Washington Post quattro), in Italia sembrano lontanissime.

La discesa maggiore (-4,8%) è quella del gruppo Gedi, reduce -per lo meno- da una vittoria (con una decisione dell’Agcom) non piccola e dall’alto valore simbolico con Microsoft sul cosiddetto equo compenso dell’attività informativa estratta gratuitamente dalle piattaforme.
In poco più di un decennio si è passati da 6 ml di copie vendute al giorno a circa un milione. Assistiamo ad una caduta di circa 15% all’anno. Si fermerà il crollo, mantenendo un piccolo zoccolo duro o – come azzardano svariati analisti – siamo prossimi alla scena finale?
Allarme rosso. Serve un’azione straordinaria.