A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE / Davide Conti a Ravenna, a proposito di “Fascisti contro la democrazia”: il ‘nostro’ 25 Aprile.

Di Maria Paola Patuelli per Ravenna news.it

Quando abbiamo posto in calendario l’incontro con Davide Conti – Comitato in Difesa della Costituzione di Ravenna, Istituto Storico della Resistenza, Libertà e Giustizia, circolo di Ravenna, con il Patrocino del Comune – che voleva essere il nostro contributo al Settantanovesimo anniversario della Liberazione, non sapevamo che saremmo stati in contemporanea con almeno altri due importante appuntamenti. Il Flash Mob Pacifista promosso dalla Casa delle Donne, al quale sicuramente avrei partecipato, e la presentazione del Museo Byron a Palazzo Guiccioli, che non ho potuto seguire.

Con dispiacere, per la grande simpatia culturale che sento per Byron e per avere, in un tempo lontano, dedicato non poco impegno a quella che era, a mio avviso, una urgente necessità. Fare di Palazzo Guiccioli un luogo della città, spostandolo da demanio militare a proprietà comunale. Palazzo Guiccioli non è arrivato in eredità al comune di Ravenna per caso. Il passaggio di proprietà dal demanio militare al Comune di Ravenna è stato fortemente voluto. All’inizio degli anni Ottanta il portare luoghi e palazzi storici nel patrimonio pubblico del Comune aveva, per noi, grande valore, culturale e politico. Il Molino Lovatelli, Palazzo Rasponi, Casa Farini, la Cavallerizza, Palazzo Guiccioli.

Il percorso è stato lungo, accidentato. Oggi l’uso pubblico è, in parte, raggiunto, ma non la proprietà comunale. La storia ha indebolito la capacità proprietaria dei Comuni e rafforzato quella delle Fondazioni Bancarie. Ne prendiamo atto. Ma un risultato c’è stato. Mi auguro che, come accade in molte città europee di rilevante importanza, e Ravenna rientra in questa categoria, si predisponga in tempi ragionevoli un altro spazio museale di eccellenza, che racconti la storia di Ravenna nel Novecento. Molto è stato studiato e scritto, della Ravenna del Novecento, ed è ben conosciuto nel mondo degli storici e degli studiosi. Manca il racconto rigoroso e pubblico aperto alla città, a chi la abita e a chi la visita.

Abbiamo indiscutibili eccellenze. Età bizantina e tardo antica, Dante, il Risorgimento, Garibaldi. È necessario e urgente aggiungere un capitolo, la storia da cui direttamente proveniamo, il Novecento. Chissà se il Molino Lovatelli, una vera meraviglia, che portammo a proprietà comunale all’inizio degli anni Ottanta, ma ora di nuovo proprietà privata, non possa rivivere per una storia pubblica e contemporanea.

Nonostante i coincidenti appuntamenti del 19 aprile, che ci hanno fatto temere una scarsa partecipazione, abbiamo avuto invece un folto pubblico e un dialogo intenso con Davide Conti, coordinato da Stefano Kegljevic, a partire dal suo recente libro FASCISTI CONTRO LA DEMOCRAZIA (Einuadi, 2023). L’assessore Igor Gallonetto ha portato un saluto non formale, sottolineando che l’Italia non ha avuto una sua Norimberga. Giuseppe Masetti ha ripercorso gli snodi della storia del Msi italiano, sottolineando un aspetto non sufficientemente noto. Solo in Italia nel dopoguerra, e non altrove, si ebbe un partito neofascista in Parlamento. Una interessante eccezione.

Rimetto, ora, mano ai miei appunti, stesi per l’incontro con Conti. Nel tentativo di chiarire passaggi che io stessa considero problematici, e che, in qualche modo, mi assillano. Sollecitata, fra l’altro, oltre che dall’importante sottotitolo del libro di Conti, Almirante e Rauti alle radici della destra italiana, anche dal recente pamphlet di Luciano Canfora, Il fascismo non è mai morto (Dedalo, 2024). Avanzo il dubbio che Canfora lo abbia scritto dopo avere letto il libro di Conti.

In premessa, e per onestà, chiarisco che non sono una storica. Sono una lettrice, che parte da interrogativi inevitabilmente parziali, particolari. Mi sono imposta di essere una lettrice distaccata, in quanto persona interessata alla storia e all’agire politico nelle sue varie declinazioni, cercando di mettere a latere la mia soggettività, che, in una sua non marginale parte, è fortemente antifascista. Ho cercato di leggere una storia, più che una storia da me detestata. Come, fra l’altro, mi auguro di fare abitualmente, qualunque sia il lavoro di storia al quale mi avvicino.

Questo lavoro di Davide Conti è scritto con un metodo talmente rigoroso e analitico, attraverso ogni fonte possibile, che, credo, ben poco abbia lasciato in ombra e che ben poco ci sia ancora da scoprire, su questo tema e sugli anni presi in considerazione. Certo, numerose sono le opere scritte sul tema e sul periodo, ma in ordine abbastanza sparso, mentre, qui, c’è un ricondurre tutto a un intreccio di persone e fatti che diventano, infine, sintesi interpretativa non detta, ma dimostrata. Ricordo sempre Pier Paolo Pasolini, quando mi trovo di fronte a situazioni che mi pare di comprendere: SO, MA NON HO LE PROVE. Qui ci sono tutte le prove possibili.

Inoltre. Mano a mano che leggevo, procedevo con un certo stupore, che riguarda la mia memoria. Non tanto mentre leggevo la parte riguardante gli anni dal dopoguerra agli anni Cinquanta, quando, bambina, il presente mi era raccontato e interpretato da genitori antifascisti. Ma già da metà degli anni Sessanta, in avanti, ho vissuto tutto in prima persona con grande attenzione e partecipazione. Quante cose ho visto, in questo libro, che non sapevo. Coglievo, allora, solo la punta dell’iceberg, che già mi sembrava enorme. Piazza Fontana, in primis, e tutto il resto, attentati, stragi. In realtà, di enorme c’era il sommerso. C’erano radici fasciste profonde, vive, molto attive, nell’Esercito, nelle Istituzioni, nei Servizi, con forti e potenti alleanze.

Radici fasciste plurali, a volte convergenti, a volte divergenti. Noi, opinione pubblica di orientamento antifascista, forse, già dopo la guerra, abbiamo fatto d’ogni erba un fascio, sottovalutando le radici vive, pensando, come spesso accade nella storia, che chi è vinto o scompare subito o ha il destino segnato.

Inoltre, il doppio binario. Doppio petto e manganello, del pragmatico Almirante (nella foto sopra). E questo, più o meno bene, lo avevamo intravisto. La scoperta per me è stato Pino Rauti, grande personaggio della destra spiritualista, innamorato di Evola e, quindi, di una spiritualità non cristiana e definito di sinistra da suoi camerati moderati, perché orientato, in modo esplicito, alla sovversione. A cielo aperto, con comizi e articoli in giornali e riviste. Obiettivo, distruggere il sistema democratico parlamentare, perché volgare, rozzo, ignobile. Il mondo deve essere guidato da chi è di anima nobile.

La Costituzione è da cancellare, leit motiv unitario, anche se Almirante, verso la fine, disse la sua gratitudine per la Costituzione, perché consentì al suo partito di esistere. Ho trovato traccia anche di un certo internazionalismo, evocato in un convegno che precede di poche settimane la strage di piazza Fontana. “La nostra patria è ovunque si combatte la stessa battaglia”. Quindi il Portogallo, la Spagna, la Grecia dei Colonnelli. Fascisti internazionalisti e non solo nazionalisti. Più importanti le idee del sangue. Strano ma vero.

Almirante dice pubblicamente di diffidare delle forze extra parlamentari di estrema destra, perché sono sentimentali. Ma a volte è lui a evocare il manganello, e la forza, e la piazza. Rauti, invece, evoca sempre la forza. Le stesse radici ma frutti in parte diversi. Rauti, una volta imprigionato, non fece una piega. Sono un rivoluzionario, voglio sovvertire il sistema, è normale che mi mettano in carcere.

Almirante, e tutti i fascisti con lui, dissero, subito, nel 1946 “Torneremo”. Torneremo, perché erano giovani e si sentivano vivi, e molti non giovani erano con loro, e non accettavano la sconfitta, il loro disprezzo per la democrazia e la Costituzione aveva basi di pensiero reali, non genericamente nostalgiche.

Mi hanno indotto ad avvicinarmi a questa riflessione, a cui il libro di Conti mi ha riportato, alcuni lavori di Giorgio Galli, compreso Il nazismo magico (Rizzoli, 1989), da me letto con colpevole ritardo. Libro che è stato per me una rivelazione, aiutandomi a capire quanto sospettavo. Che il nazismo aveva radici irrazionali, magiche, le stesse di Evola, d’altra parte, con la convinzione profonda che ci siano uomini superiori, di forte spiritualità, che hanno il dovere di essere guide indiscutibili, perché eccellenti. Cercare di spiegare solo per via razionalmente politica fenomeni come nazismo e, in parte, il fascismo spirituale, quello che ha forti radici ideali – esiste ancora? – è quasi impossibile.

L’Idea, diceva Rauti, con la maiuscola, divinizzandola. Ma anche altri, di diversa ispirazione, ma di forte fede, tutto hanno fatto, per la fede. Le prime comunità cristiane, gli eretici, fino a importanti testimonianze a noi vicine, i mazziniani, gli antifascisti. Con una enorme differenza valoriale. Questi “altri”, rispetto a Rauti, non si sentivano spiritualmente superiori. Si sentivano maggiormente consapevoli e, per questo, responsabili di fronte alla storia. Idee e Fedi vive, e OPPOSTE. Aiutate, o meno, dai contesti storici via via incontrati.

Questa intrinseca forza delle radici fasciste penso non sia stata sempre tenuta presente dal mondo antifascista. Molto meno spirituali sono state, e sono, altre forze non fasciste, che hanno usato i fascisti nemici della Repubblica, o i fascisti nemici di Allende in Cile. Forze liberali che non sempre disprezzano l’uso di forze fasciste, quando a loro serve.

L’odio per la Costituzione. Questo è il grande collante che intreccia, in Italia e non solo, le varie sfaccettature del fascismo. Non solo perché la Costituzione, nel caso italiano, è il frutto politico reso possibile dalla sconfitta militare del fascismo, sconfitta non accettata soprattutto dai fascisti spirituali.

Ma perché è l’esatto contrario delle convinzioni degli spirituali come Rauti, che, in un documentario del 1975 disse con grande chiarezza. “Noi – Ordine Nuovo – siamo per principio contrari alla democrazia, non crediamo alla uguaglianza degli uomini, non crediamo al suffragio universale. Noi crediamo alla differenza…”. Il contrario dell’articolo 3 della nostra Costituzione. Ma neppure il razzismo è l’unica chiave che assimila tutti i fascismi, come sembra suggerire Canfora. Perché qui, Rauti, non si riferisce alle “razze”, ma ad ogni singolo umano. Anche gli italiani sono fra loro diseguali. Allora chiedo, alla Meloni. Come la mettiamo con la Nazione?

Fra gli anni Sessanta e Settanta non solo socialisti e comunisti, anche ministri DC, Rumor, Forlani, Taviani, Moro, e il repubblicano La Malfa, si impegnarono in politiche fortemente antifasciste. Si discusse anche di scioglimento del Msi. Ho individuato due passaggi, del 1973, anno molto importante.

Franco Bonifacio, presidente della Corte Costituzionale, cattolico vicino a Moro, perplesso di fronte a ipotesi di scioglimento del Msi, disse: “L’esigenza vera, è che il fascismo venga isolato nella coscienza politica del Paese, che venga isolato da tutte le forze politiche del paese…”. Venti anni dopo, Berlusconi, in un conteso storico molto ambiato, non lo isolò. Anzi, lo accolse.

Enrico Berlinguer fu tiepido in merito allo scioglimento del Msi. Mi hanno colpito sue parole dette nel 1973, prima della tragedia cilena. “In Italia non sono praticabili una politica e un governo che sfidino apertamente ed abbiano contro l’intero movimento operaio, tutte le forze di sinistra e l’intera coscienza antifascista della grande maggioranza del popolo italiano”. La comparazione fra quel contesto storico e il nostro ci dice molto. Confrontiamo quella fotografia con una fotografia del nostro presente. Un movimento operaio come quello del 1973 non esiste più. Quanto è unitaria, oggi, la coscienza antifascista del popolo italiano? È grande maggioranza? Davide Conti ci ha detto: un generico e celebrativo richiamo all’antifascismo per molta gioventù è come un richiamo alle gloriose guerre puniche. Di scarsa efficacia. Quindi, è soprattutto su un altro piano che si deve lavorare.

Pochi anni dopo il 1973, l’antifascismo di stato si indebolì, fortemente. Giorgio Galli guarda al fenomeno – nei suoi libri sulla destra, internazionale e italiana (anni Settanta e Ottanta) – con un approccio di lunga durata. Sottolinea che la cultura della destra dell’Occidente da tre secoli è minoritaria, ma ciclicamente riaffiora come alternativa all’illuminismo riformista, ogni volta che il riformismo incontra difficoltà di comprensione del proprio tempo, non ha un progetto e non trova una “sua” soluzione. Emerge allora una risposta di destra come gerarchizzazione mondiale che può trovare spazio e consenso. In effetti, noi “illuministi”, di fronte, per esempio, alla mondializzazione e ai suoi esiti, difficoltà di comprensione e di reazione ne abbiamo avute, e continuiamo ad averne, non poche.

Collego questa chiave interpretativa di Galli, sul ritorno ciclico della destra, alla riflessione finale di Davide Conti, a conclusione del nostro dialogo con lui. Le radici della destra si rivitalizzano di fronte, oggi, alla grande crisi della democrazia. La democrazia parlamentare ha mantenuto le promesse scritte nella Costituzione del 1948? Non le ha mantenute.

Ma ci sono paesi – l’Europa ne sa qualcosa – che per decenni hanno promosso l’antifascismo di Stato. Caduto lo Stato, le radici naziste e fasciste sono rifiorite con forza, perché la storia e il contesto le ha rinvigorite. Perché? Perché non erano morte. Rifiorisce chi ha radici non morte. Fascismo come reazione alla modernità, alla uguaglianza. Sono convinta che anche le nostre radici antifasciste siano vive, e che i giochi siano aperti. È necessario, credo, un salto di qualità culturale, politico, etico. Stanchi rituali, certezze infondate, ripetizioni, non aiutano. Sono oggi vive Idee fra loro opposte. La gara è aperta e in corso. Uguaglianza contro disuguaglianza. Libertà contro ordine.

Aiutano azioni forti, come quella di Scurati, che ha parlato con chiarezza di antifascismo, di storia e ha denunciato la censura. Aiutano gli scioperi dei giornalisti, contro le imposizioni di Stato che impongono palinsesti. Aiutano azioni coerenti e intransigenti con i principi fondanti l’antifascismo. Aiutano le azioni politiche che, al disprezzo per la Costituzione, che il premierato elettivo di Meloni conferma in toto, ci si opponga con idee, con proposte migliorative del lavoro parlamentare. Proposte che ci sono. Bastano buone leggi e buoni regolamenti, senza bisogno di toccare la Costituzione.

Una Costituzione manifestamente disprezzata che, con sua coerenza, Meloni vuole sovvertire, fedele, in questo, anche alla fiamma di Rauti, sebbene più vicina, nei modi, al pragmatismo di Almirante. Se la partita in corso sarà vinta da Meloni, chi disse, nel 1946, “Torneremo”, potrà dire “Siamo tornati”.

Aggiungo un mio sguardo, di durata veramente lunga, perché va molto indietro nel tempo. Il fascismo ha una prima e ancora molto viva radice, la radice patriarcale, fin dall’inizio della storia umana. Verticalizzazione, subordinazione dei diversi, un capo che tutto controlla e determina. Umani di sesso maschile, negli ultimi secoli, a questa visione del mondo si sono opposti. Nell’ultimo abbondante secolo, umani di sesso femminile si sono con intransigenza opposte. Da qualche decennio umani di ogni genere e molta gioventù, si stanno opponendo ad ogni visione gerarchica che voglia offendere la terra e chi la abita, piante e ogni animale, come anche noi siamo, per quanto strani. Urge costruire una nuova, ampia e inedita alleanza.

La partita è aperta e in corso. Non avrà breve durata.