Con la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, l’art. 116.3 introduce la possibilità che a singole Regioni vengano riconosciute forme e condizioni particolari di autonomia, con legge statale approvata a maggioranza assoluta dei componenti e in base a intesa con la Regione. È l’autonomia differenziata. Il 28 febbraio 2018 vengono firmati “preaccordi” con il Veneto, la Lombardia e l’Emilia-Romagna dal governo Gentiloni, sebbene in carica per il solo disbrigo degli affari correnti a quattro giorni dal voto.
L’attuazione dell’art. 116.3 è una priorità per i governi Conte I e II, e Draghi.
In vista del voto del 25 settembre, viene iscritta in coppia con il presidenzialismo nell’Accordo di governo del centrodestra. La Lega torna al separatismo nordista, e richiama l’autonomia come motivo fondante della partecipazione al governo. Calderoli, ministro per le Autonomie e leghista della prima ora, fa saltare la simultaneità tra presidenzialismo e autonomia, consegnando alla conferenza delle regioni una bozza di legge di attuazione, datata 8 novembre.
La bozza è segnata da una accentuata vocazione separatista. Apre (art. 1, 6 e allegato) a una rilevante modifica della architettura istituzionale, potenzialmente estesa – secondo la richiesta del Veneto e altre Regioni del Nord – a tutte le 23 materie elencate negli artt. 116.3 e 117.3. Il ministro per le Autonomie (art. 2) conduce il negoziato con la Regione. È emarginato il Parlamento, ridotto a un parere non vincolante della commissione bicamerale per le questioni regionali, mentre l’aula vota sì o no, senza poter emendare ed entrare nel merito, su una legge recante l’intesa in allegato (una “mera approvazione”).
Ovviamente, limitare il confronto parlamentare di fatto imbavaglia soprattutto l’opposizione, e le forze di maggioranza in dissenso. È evidente poi il rischio che la consonanza politica tra una o più Regioni e il governo conduca ad approvare una autonomia sbilanciata e in danno di altre Regioni. Uno scenario in specie preoccupante perché l’autonomia differenziata può partire (art. 4) con la spesa storica in fase transitoria a tempo indeterminato, senza correttivi per i divari territoriali: livelli essenziali delle prestazioni, costi standard, perequazione infrastrutturale. Inoltre, l’intesa approvata si rinnoverà automaticamente alla scadenza, e la Regione potrà respingere una richiesta statale di terminarla (art. 6). Il principio pattizio presente nell’art. 116.3 rende il regime introdotto con l’intesa potenzialmente irreversibile, di fatto non correggibile nel caso di nuovi equilibri politici, governi, maggioranze, o anche solo condizioni economiche e sociali. La legge che approva l’intesa può essere modificata solo con legge in base a una nuova intesa. Si sottrae anche al referendum abrogativo ex art. 75 Cost., inammissibile secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale per le leggi cosiddette rinforzate, come è appunto quella di cui all’art. 116.3.
Dalla lettura parallela della norma costituzionale e della bozza Calderoli viene uno scenario preoccupante per l’unità del Paese. È stata per questo presentata una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare su cui è in corso la raccolta delle firme, volta a una modifica mirata degli artt. 116.3 e 117 della Costituzione. La proposta di legge punta a quattro obiettivi.
Il primo: riscrivere l’art. 116.3 per rendere flessibile il regime introdotto con l’autonomia differenziata e cancellarne la potenziale irreversibilità. Inoltre, legare il regime differenziato a specificità del territorio e consentire una verifica referendaria sulle intese sia prima dell’entrata in vigore, sia in via di abrogazione di intese vigenti. Il secondo obiettivo: nell’art. 117 qualificare come “uniformi” piuttosto che “essenziali” i livelli delle prestazioni, per una piena implementazione del principio di eguaglianza. Il terzo obiettivo: spostare dalle competenze concorrenti di cui all’art. 117.3 alla potestà esclusiva statale ex art. 117.2 alcune materie strategiche per l’unità del Paese, come ad esempio la scuola e infrastrutture materiali e immateriali. Il quarto: introdurre una clausola di supremazia della legge statale.
L’opzione presidenzialista non è invece in grado di bilanciare i rischi per l’unità del Paese derivanti dall’autonomia differenziata. L’esperienza di altri Paesi – Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia – dimostra che nelle società frammentate e disomogenee di oggi l’investitura popolare diretta di chi governa è occasione e strumento di divisione piuttosto che di unità.