“O noi o Meloni” sostiene Letta. Uno dei modi più diretti per andare incontro alla sconfitta. In primo luogo perché è sempre un errore – anche in presenza di una legge elettorale dai chiari profili incostituzionali – trattare le elezioni politiche con la logica binaria di un referendum abrogativo. E viceversa. In secondo luogo perché nel frattempo il campo largo, il mantra della segreteria Letta, si è ristretto e spostato sensibilmente a destra. I 5 Stelle ne sono stati esclusi, in osservanza al programma Draghi che dovrebbe costituire il piatto forte della proposta politica del Pd. Non stupisce quindi che Giuseppe Conte abbia subito proclamato l’intenzione dei suoi di “correre da soli”, anche se è lecito ed opportuno chiedersi quanti siano coloro che lo seguiranno dopo gli scombussolamenti e le scissioni di cui quel partito è stato vittima in modo programmato e non per responsabilità del solo Di Maio.
Il tema di colmare lo spazio politico che resta aperto alla sinistra del Pd, torna in modo drammatico, sia per i tempi entro cui siamo costretti, sia soprattutto per l’assenza di una forza politica aggregante, dotata di capacità di egemonia e di massa critica adeguate. Ma piangere sul tempo perduto non serve a nulla. Sono state avanzate su queste pagine proposte che cercano di sfuggire all’imbuto del voto utile e nello stesso tempo rendere credibile la presenza di una lista autonoma di alternativa almeno nella parte proporzionale.
Pur essendo le intenzioni ottime, non si possono trascurare i limiti di queste proposte e tentare di vedere le possibilità di un superamento di questi ultimi. Operazioni, diciamo così, di ingegneria elettorale – a legge invariabile e invariata – sono già stati praticati ed hanno ottenuto un certo successo, relativamente all’obiettivo che si prefiggevano. Come la scelta della desistenza praticata positivamente anni addietro da Rifondazione Comunista, il cui profilo politico e programmatico alternativo però era noto, al di là del giudizio che se ne volesse dare.
Il punto debole delle attuali proposte è invece quello di assumere una dimensione puramente difensiva. L’obiettivo di questo ipotetico cartello elettorale, come lo definisce Antonio Floridia (il manifesto 24 luglio), un escamotage, come onestamente riconosce Gaetano Azzariti (il manifesto del 26 luglio) vuole essere quello di impedire ad una destra, data comunque per vincente, di raggiungere la soglia dei due/terzi del Parlamento che permetterebbe la modifica della Costituzione senza neppure passare il vaglio di un referendum popolare.
E’ certamente un obiettivo fondamentale, poiché diversi sono stati i tentativi di stravolgere la Carta costituzionale e solo il ricorso ai referendum li ha respinti, anche se non sempre. Solo che in quei casi gli elettori si trovavano davanti non a un pericolo futuro, per quanto probabile, ma ad un testo di controriforma ben noto in quanto già votato dal Parlamento. Nel caso attuale il solo richiamo alla difesa dell’integrità della Costituzione non appare sufficiente per costruire un nuovo intransigente ed efficiente arco costituzionale per via elettorale. Serve una leva in più.
Questa non può che essere costituita che dal rifiuto dell’attuale guerra in corso. Come ha anche affermato Pablo Iglesias su queste pagine si tratta di passare da un pacifismo come senso morale, a un pacifismo concreto, ovvero all’articolazione di una politica della pace. Come lo è la non semplice richiesta del cessate il fuoco, condizione necessaria ma non sufficiente, quanto il delinearsi di un percorso che individui una forza di mediazione e che giunga ad una conferenza internazionale, come fu quella di Helsinki del 1975, che si occupi a partire dalla vicenda ucraina, degli sconvolgimenti geopolitici e geoeconomici che stravolgono i vecchi – e iniqui – equilibri mondiali, scongiurando il pericolo dell’avvento di una terza guerra globale nucleare.
Chi pensa di vincere la guerra sul campo ci porterà alle soglie di questo baratro se non oltre. E’ l’argomento di cui si discute in tutto il mondo e in particolare in Europa, direttamente impegnata nella guerra russo-ucraina, come riconoscono anche gli stessi che la propugnano. E’ un tema che attraversa tutto il corpo elettorale, superando agevolmente gli schieramenti partitici. Scuote il mondo cattolico, che non può essere identificato con le forze sotto l’ombrello elettorale del Pd.
E’ un punto su cui il movimento 5Stelle ha costruito la sua diversità nell’esperienza di governo patendo una scissione. E’, considerando anche i sondaggi, uno degli aspetti che vede lontana la maggioranza della popolazione dalle forze del perimetro Draghi e quindi può agire nel campo largo dell’astensione. Allo stesso tempo è chiaro che la guerra e il gioco delle sanzioni, sono uno dei fattori dell’incremento dell’inflazione, quindi dell’impoverimento ulteriore, rendendo prioritari l’estensione del reddito di cittadinanza, quanto l’istituzione di un salario minimo. Così come spianano la strada a chi vuole seppellire la trasformazione ecologica. E’ l’anello che trascina con sé una lunga catena di obiettivi programmatici. Andrebbe afferrato con forza.