Non si cambia la Costituzione per un interesse politico immediato
Alfiero Grandi (in JobsNews del 28 febbraio 2020)
L’epidemia di coronavirus dovrebbe consigliare al Governo un rinvio del voto del 29 marzo per consentire ai cittadini che oggi non possono esercitare il diritto di riunirsi insieme di partecipare pienamente alla campagna elettorale.
Un referendum costituzionale dovrebbe essere un momento importante della vita democratica del nostro paese.
La Costituzione è la carta fondamentale che ha disegnato la democrazia in Italia dopo la cacciata dei nazifascisti e la Liberazione. Da un prova terribile come la seconda guerra mondiale l’Italia è uscita diversa, più moderna, allineata alle democrazie più avanzate.
Al punto che la Costituzione e molte leggi da essa derivate sono state dei modelli. Ad esempio in materia di lavoro, di sanità hanno ispirato la legislazione di altri paesi che sono arrivati più tardi alla democrazia.
Una Costituzione avanzata, fortemente ispirata da modelli di partecipazione attiva dei cittadini, attraverso le organizzazioni in grado di rappresentarli: partiti, sindacati, associazioni di varia natura. Una vita democratica attiva, partecipata, lievito della crescita democratica, dell’avanzamento sociale e dell’evoluzione positiva dei costumi del nostro paese, di diritti civili riconosciuti ed esercitabili concretamente.
Il capolavoro politico rappresentato dalla Costituzione ha introdotto anche forme di partecipazione diretta come i referendum abrogativi e quelli pudicamente definiti confermativi sulle modifiche della Costituzione, possibili su richiesta ogni volta che il parlamento non raggiunge il quorum dei 2/3 nell’approvazione delle modifiche della Costituzione. Referendum confermativi ma che nei casi più recenti hanno abrogato le modifiche della Costituzione.
E’ sperabile sia così anche per il taglio del parlamento.
Il taglio dei parlamentari del 37 % è una misura voluta dal M5Stelle che ha definito il parlamento come un insieme di poltrone, commettendo un errore politico e istituzionale molto grave.
Anzitutto il parlamento deve rappresentare le elettrici e gli elettori e non è vero che un numero vale l’altro. Il numero dei parlamentari deve essere tale da consentire la rappresentanza delle opinioni dei cittadini, delle aree territoriali, con meccanismi elettorali che consentano alle elettrici e agli elettori di conoscere i loro rappresentanti. Mentre ormai da un paio di decenni i cittadini non hanno idea di chi hanno contribuito ad eleggere e la controprova sta nel fatto che i parlamentari stessi sanno di dovere la loro elezione ai capi partito, che li hanno inseriti nel posto giusto in lista sulla base di un criterio di fondo: la fedeltà.
Rappresentare il parlamento come un insieme di poltrone è un errore grave che mina la credibilità democratica dei rappresentanti. Il M5Stelle non ha mai spiegato perchè abbia accettato di far parte del parlamento (addirittura di avere tentato sia pure con scarsi risultati un ruolo di governo) se aveva questa opinione. Non si entra in un consesso che si ritiene non adeguato, è un’evidente contraddizione in termini.
In realtà il comportamento del M5Stelle è sempre stato ambiguo, da un lato ha chiesto i voti e dall’altro ha espresso giudizi estremi, demagogici, sul ruolo dei rappresentanti, quindi anche su loro stessi. Eppure portavano una carica critica che avrebbe potuto essere spesa per migliorare e adeguare il parlamento. Invece il parlamento è diventata la rappresentazione della loro impotenza, attribuendone però la responsabilità all’istituto parlamentare in sé anziché alle loro incapacità politica, insieme a quella di tanti altri per essere giusti.
E’ destino della Costituzione essere il parafulmine delle incapacità del personale politico e in questo caso il parlamento è diventato il centro dell’attacco.
La destra che supportava il Conte 1 ha votato a favore di questo taglio del parlamento, ma c’è una ragione che ha ricordato bene la Meloni in questi giorni firmando una petizione per il Presidenzialismo, antico obiettivo della destra italiana che da sempre vuole archiviare la democrazia parlamentare, sognando il ritorno all’uomo (o alla donna) solo al comando. Un riflesso antico che ritorna e che Salvini ha auspicato con forza, fino a immaginare che già nel 2029 si potrebbe eleggere il Presidente della Repubblica direttamente.
Le sinistre che sostengono il Conte 2 hanno fatto strane contorsioni e capovolto la loro posizione, fino a votare a favore di quello a cui aveva votato contro fino a poco prima, solo perchèquesto serviva per formare il governo. Uno strafalcione politico grave: non si cambia la Costituzione per un interesse politico immediato. Sono consigliabili occhiali per correggere la miopia politica. Del resto se Renzi è stato il leader del Pd a lungo, fino al referendum del 2016 che lo ha sconfitto, e oggi propone l’elezione diretta del Presidente del Consiglio si comprende in quale stato confusionale sia oggi la sinistra.
A questo punto solo una nuova e forte reazione dei cittadini può respingere, votando No il 29 marzo, la proposta demagogica e populista che propone di scaricare sul parlamento tutte le responsabilità istituzionali e politiche che hanno portato ad una grave crisi di credibilità. Questo non vuol dire tenersi tutto com’è ma individuare i modi e le forme per rimettere il parlamento al centro, per eleggere i parlamentari per qualità, competenza, serietà e non per fedeltà ai capi. Quindi il No deve accompagnarsi alla richiesta di una nuova legge elettorale proporzionale che consenta a tutti i punti di vista di essere rappresentati, ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti e di toglierli quando è necessario.
I comportamenti seguiti all’epidemia di coronavirus confermano che qualcosa non va. Prima c’è stata la corsa a votare prima possibile per il taglio dei parlamentari, lasciando pochissimo tempo per far capire di cosa si tratta e di fare ascoltare le opinioni in campo, fino a fissare la data per il 29 marzo. Poi di fronte all’epidemia che ha reso impossibile organizzare iniziative in regioni fondamentali la richiesta di rinviare il voto per il tempo necessario per consentire anche alle regioni che per ora non hanno vita associativa e comunitaria sembra non trovare ascolto. Resta sempre la speranza di un ripensamento del governo, ma in ogni caso nelle forme e nei modi possibili, anche nelle regioni oggi senza vita sociale, occorre fare il possibile per far conoscere le ragioni del No. Non si possono fare assemblee e riunioni, ma in molti casi si possono diffondere volantini, affiggere manifesti negli spazi previsti, lavorare anche da casa sui social mandando messaggi fino a intasare la rete, chiedere di essere ascoltati dalle radio e dalle tv locali, che oggi sono seguite più di prima dalle popolazioni “recluse” in mancanza di altre possibilità.
La fantasia deve supplire in tutti i modi possibili a strumenti più tradizionali e usati e il No deve fare sentire la sua voce comunque. Se il governo non capirà la gravità di un comportamento che di fatto impedisce l’esercizio di un diritto costituzionale, cosa che un rinvio anche di qualche settimana renderebbe possibile, occorre esercitare comunque il diritto a votare e organizzare il No con la nettezza necessaria per convincere elettrici ed elettori a votare.
Alfiero Grandi