Alla fine l’approvazione della Camera c’è stata. Con la quarta votazione, come previsto dall’art. 138, la Camera ha approvato con 553 voti su 630 il taglio di 230 deputati e 115 senatori, a partire dalla prossima legislatura. Quindi questa modifica della Costituzione ha avuto l’approvazione definitiva del parlamento. Ora resta da verificare se ci sarà – entro 3 mesi – la richiesta di referendum costituzionale. Se arriverà la richiesta di referendum il taglio dei parlamentari per diventare effettivo dovrà attendere l’esito del voto degli elettori, che va ricordato, è senza quorum. Nel 2016 il referendum disse no alle modifiche di Renzi e quella “deformazione” della Costituzione finì nel cestino. Invece se il referendum non ci sarà dopo 3 mesi il taglio dei parlamentari entrerà in vigore. Il referendum popolare su questa modifica della Costituzione è indispensabile per fare esprimere sull’argomento direttamente i cittadini (la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, art.1 c.2). Come ha ricordato il prof Ainis effettuare il referendum costituzionale nella prossima primavera consentirebbe di allineare i tempi di modifica della Costituzione con l’approvazione di una nuova legge elettorale, di cui per ora si parla poco ma che è assolutamente indispensabile. Infatti va ricordato che la Lega ha già fatto approvare alla precedente maggioranza verde-gialla una nuova legge elettorale a immagine e somiglianza del rosatellum, che è la legge con cui abbiamo votato il 4 marzo 2018. L’unica differenza tra il rosatellum e la legge già pronta ad entrare in vigore dopo il taglio dei parlamentari è l’adattamento di aspetti come il numero dei collegi, ecc. Adattamento inevitabile con la diminuzione dei deputati e dei senatori.
La nuova legge elettorale portata avanti da Calderoli per conto della Lega ha di fatto blindato il rapporto tra il taglio dei parlamentari e la nuova versione del rosatellum. Per ora siamo esattamente nel percorso ideato dalla precedente maggioranza M5Stelle/Lega, per cambiare scenario occorre almeno una nuova legge elettorale che segni un distacco radicale da quella che potrebbe entrare in vigore senza fare nulla. La nuova maggioranza dovrà dimostrare di essere in grado di approvare una nuova legge elettorale che sostituisca quella voluta dalla Lega. Non sarà facile perché nel programma dell’attuale maggioranza ci sono pochi e vaghi cenni ed è difficile dire se ci riuscirà viste le diverse posizioni esistenti al suo interno. Il rapporto tra la Costituzione, che prevede le modalità di funzionamento della democrazia italiana, e la legge elettorale è molto stretto e quando la legge elettorale è sbagliata ne risente l’intero assetto istituzionale.
Il maggioritario è iniziato con il “mattarellum”. Legge che comunque prevedeva una quota proporzionale per garantire la rappresentanza e consentiva, con collegi di circa 100.000 abitanti, di stabilire un rapporto tra parlamentari ed elettori. Le leggi successive hanno scelto una linea maggioritaria, con parlamentari eletti sulla base della posizione in liste bloccate, quindi nominati dall’alto. Questo ha portato ad un graduale abbassamento della credibilità dei parlamentari presso i cittadini – che nemmeno li conoscevano più – e quindi dell’autorevolezza del Senato e della Camera, i cui componenti sono diventati sempre più dipendenti dai capi partito, elezione dopo elezione, e si sono gradualmente assuefatti a diventare subalterni al governo, con buona pace di Montesquieu. Ha ragione Bersani, Renzi ha governato con i voti presi dal Pd quando lui ne era il segretario e va ricordato che il Pd da solo aveva poco più del 25% dei voti e la maggioranza in parlamento era possibile grazie all’effetto moltiplicatore del porcellum, legge voluta dal centrodestra fino alla dichiarazione di incostituzionalità. Governi di fatto minoritari, maggioranze parlamentari artificiose e non corrispondenti ai voti reali ottenuti hanno fatto molto male alla credibilità delle istituzioni del nostro paese e hanno preparato il clima di disaffezione in cui si è inserita l’iniziativa del Movimento 5 Stelle di tagliare i parlamentari con la motivazione incredibile di risparmiare, fino al risultato attuale.
Ancora nel recentissimo dibattito parlamentare i rappresentanti dei 5Stelle hanno insistito sui risparmi, fino a presentare dopo l’approvazione definitiva uno striscione che per ragioni di propaganda ha calcolato i risparmi su 10 anni per arrivare ad ogni costo a sostenere che si risparmierà un miliardo. Eppure è falso anche su 10 anni, ce ne vorranno tra 15 e 20, ma la propaganda facilona ha le sue esigenze. Il voto alla Camera è stato plebiscitario, con una buona dose di conformismo. Il Pd ha capovolto le posizioni precedenti in nome di alcuni contrappesi costituzionali e di una nuova legge elettorale, della quale non c’è certezza di contenuti e tempi. Un prezzo pagato al varo del governo con i 5 Stelle, certo, ma si poteva cercare di fare un discorso più serio e fondato.
Uno dei contrappesi costituzionali proposti dal Pd è l’equiparazione per età degli eletti e degli elettori tra Camera e Senato, la domanda è: che senso ha avere due camere se i loro componenti sono eletti nello stesso modo? Così il bicameralismo totalmente paritario diventa difficilmente spiegabile. Non era preferibile, se la pressione dei 5Stelle era proprio irresistibile, proporre una sola Camera con poteri legislativi, risolvendo così il problema di mantenere una rappresentanza parlamentare adeguata nel territorio e semmai trasformando il Senato in camera delle regioni? Il Senato delle regioni potrebbe essere una scelta utile in questa fase per gestire l’autonomia regionale differenziata che la Lega ha cercato di trasformare in vera e propria libertà di secessione delle regioni più ricche. Una sede collegiale di decisione delle regioni (ad esempio un nuovo senato sulla falsariga del Bundesrat tedesco) avrebbe reso tutto più trasparente e contribuito a rintuzzare le spinte secessioniste. In questo scenario alternativo il risultato di riduzione di parlamentari sarebbe stato sostanzialmente lo stesso, con la differenza che la Camera sarebbe rimasta integra e si poteva stabilizzare il rapporto tra stato e regioni. Bastavano sei mesi di tempo per approvare una modifica radicale di pari risultato ma con una forte valenza di coerenza istituzionale, mentre ha prevalso la sforbiciata alle due camere nata nel periodo verdegiallo, ha prevalso il continuismo.
C’è da augurarsi che la maggioranza avverta il bisogno di chiedere il parere degli elettori e convochi il referendum. In questa eventualità non tutti saranno tormentati dal timore di stare sul versante perdente identificato con la contrarietà a questo taglio dei parlamentari. Ci sono tante persone che non hanno timore, né ragione per essere accusate di avere interessi propri e che potrebbero con equilibrio spiegare perchè questo taglio dei parlamentari non va bene e perchè rischia seriamente di innescare un percorso che ci porterà ad avere meno rappresentanti e senza una nuova legge elettorale continuerà ad impedire agli elettori di scegliere chi li deve rappresentare, lasciando per di più irrisolto il rapporto tra stato e regioni.
Alla fine di questo tunnel c’è il presidenzialismo. Come del resto esplicita la proposta depositata da Lega e Fdi, che parlano apertamente di elezione diretta del Presidente nel 2029. Il M5Stelle è prigioniero della piattaforma Rousseau che forse gli impedisce di vedere con chiarezza il rischio di lavorare per il re di Prussia, come ha già fatto nella precedente esperienza di governo con la Lega. Purtroppo la linea forte è quella della destra che vuole un capo di tutto e tutti, eletto direttamente. Del resto Salvini non aveva detto che voleva le elezioni anticipate per ottenere pieni poteri? Quando in passato ho cercato di mettere sull’avviso che il taglio dei parlamentari preludeva al presidenzialismo mi hanno risposto in tanti che era una preoccupazione eccessiva. Purtroppo non è così e trattative politiche condotte all’insegna dell’incertezza politica hanno portato ad un accordo che ricorda semmai la (pessima) riforma delle provincie.
Vedremo se ci sarà il referendum sul taglio dei parlamentari. Un referendum sarebbe l’occasione per una discussione di massa sulla Costituzione e sull’assetto istituzionale del nostro paese. Se non dovesse esserci tutte le aspettative si concentreranno sulla legge elettorale, decisiva naturalmente, ma da sola non in grado di reggere un intero impianto costituzionale.
Alfiero Grandi