Il fascismo come metafora
Domenico Gallo
Quotidiano del Sud 30 novembre 2018
Da molto tempo nel nostro paese è ritornato d’attualità il tema del fascismo. Qualche giorno fa Gustavo Zagrebelsky, intervenendo dalle colonne del quotidiano La Repubblica, ha richiamato un famoso scritto di Umberto Eco pubblicato il 2 luglio 1995, estratto da un discorso che egli tenne alla Columbia University il 25 aprile 1995 per celebrare i cinquant’anni dalla Liberazione.
Eco enucleava 14 punti, tuttora attuali, che contraddistinguono l’avvento di ogni fascismo, in qualunque epoca e forma esso si manifesti: «Ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l’ “Ur-Fascismo”, o il “fascismo eterno”.
In sintesi questi sono i suoi tratti distintivi: : identità aggressiva e purismo etico; rifiuto della modernità e tradizionalismo reazionario; rigetto dei principi dell’89 e dei diritti individuali; irrazionalismo e primato dell’azione sulla riflessione e sulla discussione; decisionismo; culto della forza e “machismo”, anti- parlamentarismo; ostilità nei confronti della libertà di scienza arte e stampa, sospette portatrici di germi critici; esaltazione dell’uomo medio e del senso comune; concezione del popolo come un tutt’uno indifferenziato; corporativismo; intolleranza nei confronti dei “diversi” e dei“non integrabili”; xenofobia variamente motivata e razzismo; pensiero unico e unanimismo; fantasmi di complotti; nazionalismo ripiegato su se stesso contro internazionalismo e, a maggior ragione, cosmopolitismo; complesso di unicità e di superiorità, unito a vittimismo che sfocia in aggressività. Il linguaggio del fascismo è un parlare violento e plebeo; accarezzare l’ignoranza e la banalità di massa.
Indubbiamente aveva ragione Umberto Eco quando affermava che la parola fascismo è diventata una sineddoche, una denominazione pars pro toto, adattabile a movimenti totalitari diversi.
Oltre che una sineddoche, la parola fascismo è una metafora: essa indica una condizione patologica dello spirito umano nella sua dimensione sociale. In questo senso il fascismo è un fenomeno transtemporale, non è appannaggio esclusivo di un’epoca storica, nè di una determinata parte politica. Il fascismo storico è stato sconfitto l’8 maggio del 1945 con la resa della Germania nazista, ma il fascismo è immortale, ci avverte Umberto Eco, e Bertold Brecht ci ammonisce: “non cantiamo vittoria troppo presto. Il grembo da cui nacque è ancora fecondo.” Ci sono delle costanti storiche e psicologiche che si riaffacciano, specialmente nei periodi di crisi; ci sono politiche che costruiscono risposte violente ed autoritarie ai problemi della convivenza umana e promuovono la discriminazione; ci sono condizioni psicologiche che attivano meccanismi di fuga dalla libertà e spingono gli uomini a liberarsi del fardello delle proprie responsabilità consegnandosi nelle mani di un uomo forte. Da molto tempo la società italiana vive una crisi di fiducia in quei valori sui quali la Costituzione ha inteso fondare la convivenza e la speranza di futuro. Ciò comporta la ricomparsa di molti di quegli ingredienti di tribalismo che sono alla base del fascismo eterno.
Come reagire? La risposta ce la fornisce Zagrebelsky: “A chi pretende di parlare a nome degli “italiani” e della loro “identità”, si opponga il dissenso; a chi esalta la forza, si oppongano il rispetto e la mitezza; a chi burocratizza la scuola e l’università per trasformarle in avviamento professionale, si oppongano i diritti della cultura; alle illegalità, si reagisca senza timore con la denuncia; alla cultura della discriminazione e della violenza, si contrappongano iniziative di solidarietà. Agli ignoranti che usano la vuota e spesso oscena neo-lingua, si chieda: ma che cosa dici mai, come parli? Fino al limite della resistenza ai soprusi e della disobbedienza civile che, in casi estremi, come ha insegnato don Milani, sono virtù.”
Come non essere d’accordo?