Un fantasma si aggira nel Palazzo: la legge elettorale. Con la decisione adottata dai capigruppo della Camera – in Aula a fine settembre se saranno conclusi i lavori in Commissione – la legge elettorale esce dagli scenari immediati della politica.
Il tempo è il maggior nemico di una – buona – legge elettorale. In realtà, il copione in cui si va alle urne con i Consultellum Camera e Senato, salvo limature tecniche, è non da ora tra quelli pronti ad andare in scena. Vediamolo, in tre punti.
Il primo. Il mantra della governabilità è letto da qualcuno nel senso che il bicameralismo paritario imporrebbe una stessa maggioranza nelle due camere, da garantire con il sistema elettorale. Ma nel bicameralismo la possibilità di maggioranze diverse è genetica e ineliminabile. Soprattutto se il sistema politico è multipolare – come il nostro – e le camere non coincidono nella base territoriale e nell’elettorato attivo e passivo – come impone la Costituzione. Due sistemi elettorali identici possono comunque produrre maggioranze diverse.
Il secondo. Piace a qualcuno l’idea che sistemi e maggioranze diverse siano un’occasione? Probabilmente sì. Le alte soglie del Consultellum Senato potrebbero cancellare senza colpo ferire una sinistra autonoma a sinistra del Pd. Questo piacerebbe certo al Pd, che vedrebbe esaltato l’argomento del voto utile potendo declinare qualsiasi responsabilità. Per questo l’unità a sinistra del Pd può paradossalmente incentivare una ipocrita inerzia: con soglie alte è più facile sbarrarle il passo. E se alla fine le maggioranze fossero diverse tra Camera e Senato, ci sarebbe un solido argomento per una grande coalizione. Questo potrebbe piacere a pezzi consistenti del centrosinistra e del centrodestra. E gli altri? Di necessità virtù, alti lai e disciplina di gruppo e di partito. E gli elettori? Che importa, se ne riparla tra cinque anni, e intanto si vede. Majora premunt. La grande coalizione potrebbe essere un obiettivo consapevole se pure occulto, che si favorisce con l’inerzia.
Il terzo punto. Chi fa cosa? Mattarella non può andare oltre la moral suasion, già inutilmente spesa, e che perde ancor più efficacia con l’avvicinarsi della fine costituzionalmente insuperabile della legislatura. Si sente dire ora di un nuovo assalto giudiziario. Un tentativo lodevole, ma del quale è arduo prevedere un esito positivo. Comporta infatti che sia la Corte costituzionale a omogeneizzare i sistemi elettorali delle due Camere. Il punto è che se la Corte avesse assunto l’omogeneità come dato costituzionalmente insuperabile, avrebbe già potuto – e forse dovuto – intervenire, orientando la sent. 35/2017, o dichiarando parziali illegittimità in via conseguenziale, o magari sollevando in via incidentale la questione davanti a sé stessa. Non l’ha fatto perché non ha inteso farlo. E se non ha scelto la via dell’omogeneità prima, è assai improbabile che la scelga dopo, riducendo l’ampia discrezionalità che ha riservato nelle sue pronunce (1/2014 e 35/2017) al legislatore, e per di più nell’imminenza del voto. È pensabile che a campagna elettorale avviata la Corte scriva in dettaglio premi di maggioranza e soglie, che di fatto decidono chi va a Palazzo Chigi e in Parlamento, essendosene finora tenuta accuratamente lontana?
La battaglia per la legge elettorale è inevitabilmente politica, e si combatte in due modi. Il primo, chiedendo in ogni sede e momento una legge che garantisca la più ampia rappresentatività e il voto libero e uguale. Il che si ottiene solo con un impianto proporzionale ed eletti scelti da chi vota, per un parlamento che esprima il paese e non sia prono a oligarchie dominanti e poteri forti. È un compito che non si risolve nell’attesa di interventi salvifici. Il secondo modo, a sinistra, con una unità che dia forza sufficiente a entrare nelle assemblee elettive con qualunque legge, fosse anche il Consultellum.
Difficile? Certo. Impossibile? No. Ovviamente, bisogna passare dal calcolo degli interessi personali e di gruppo a una strategia di ampio respiro su progetto politico e leadership, ricordando che il rischio di una subalternità al Pd è sempre dietro l‘angolo. Ce lo ricorda implicitamente il ministro Orlando in un’intervista a La Stampa, per cui Bersani e D’Alema si stanno trasformando in gruppettari. È la battuta dell’anno. Nel Pd si divertono così.
Massimo Villone sul Manifesto del 15 settembre